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30/5/2023, 13:49
Premessa: per il progetto dell'Incipit ormai molto tempo fa ho deciso di adottare un controllo di volume digitale.

Vi domandarete il motivo di questa decisione. Ora ve lo spiego.

Background: cosa è un Incipit?

Il nome è un termine latino che significa "inizio", "incominciare". Ed ora, dopo tanto tempo, mi rendo conto di come il termine sia stato perfettamente azzeccato. Perchè puoi avere la certezza di un inizio, ma non quella di quando le cose finiranno. Un incipit può essere pure infinito, in continua evoluzione, persino non terminare mai.

Un amplificatore per cuffia a valvole, con una manciata di semiconduttori, un'idea balenata guardando un progetto giapponese che mi è piaciuto subito ed ho subito fatto mio: un semplice differenziale a triodi (o push pull) aiutato da un paio di jfet, progetto decisamente minimal, con tanto di trasformatore di uscita. L'ho realizzato in una settimana su un apposito circuito stampato disegnato e fatto fare in tempi da record. Ha funzionato subito bene, mi è piaciuto così tanto che non l'ho più toccato ed è rimasto di fronte al sofà per diversi mesi.

Nel frattempo c'era l'AF-N con la sua versione ultima, quindi ero impegnato a togliere gli ultimi granellini di sabbia dall'ingranaggio. La versione 5 è stata uno stravolgimento che nemmeno io mi aspettavo, sia in termini tecnici che di soddisfazione uditiva.  Nel frattempo, dovevo dare un senso all'Incipit.

Veniamo quindi al dunque. Ho accennato ad un differenziale a triodi,

 Digital volume control 52937306244_43e306258f_o_d

ed ecco, qui sopra, avete lo schema semplificato dell'ampli.

Come vedete ha il suo bell'ingresso bilanciato, e pure l'uscita cuffia è bilanciata, essendo costituita dal secondario del trasformatore di uscita. Ma evitate l'orgasmo immediato, in quanto questo è solo l'inizio. Per l'appunto.

Il mio primo ampli "completamente bilanciato", per la gioia di chi me lo aveva chiesto, fu una fatica così enorme che giurai a me stesso che non ce ne sarebbe stato un altro. Ma qui di faticoso non c'è nulla. Mentre la prima volta il bilanciato fu quasi una forzatura, nel caso dell'Incipit il bilanciamento è naturale ed è implicito nella struttura del progetto. Viene quasi da dire che sarebbe più complicato fare un Incipit normale che bilanciato. Ed in effetti è così. Il circuito si presta naturalmente a ricevere due fasi opposte, con cui pilotare i due jfet (e i due triodi) e a far sognare così i cuffiofili per dei vantaggi che sono inesistenti. No, in realtà un vantaggio c'è, perchè aumenta lo swing ottenuto a parità di segnale.

Ma perchè ho messo il titolo "Digital volume control"?

Abbiate pazienza, ora ci arriviamo.

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1/6/2023, 13:29
 Digital volume control 52942497649_5a65597af8_o_d

Un amplificatore provvisto di ingressi bilanciati deve avere due connettori XLR a 3 poli, uno per il canale sinistro ed uno per il destro. Ciascun connettore è collegato internamente all'ingresso dell'amplificatore relativo al suo canale con due fili, uno che trasporta il segnale in fase e l'altro in controfase.

In questo caso si può parlare di linea bilanciata. Il motivo per cui è vantaggioso un simile collegamento rispetto al normale collegamento con connettore RCA è che una linea bilanciata garantisce una maggiore immunità ai disturbi.

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Come si vede dal disegno riportato sopra, il segnale proveniente dalla sorgente una volta arrivato all'amplificatore incontra per prima cosa uno stadio sommatore, ovvero uno stadio di amplificazione a guadagno unitario che provvede a sommare le due fasi del segnale. In realtà quel triangolo rappresenta un amplificatore operazionale, ovvero un differenziale, e quindi in realtà esegue la differenza tra i due segnali, ovvero sottrae dal segnale in fase quello in controfase.

Si può capire quello che succede facendo un esempio. Se la sorgente invia un segnale di 1 V alla sua uscita bilanciata, avremo 1 V sulla fase positiva e -1 V sulla fase negativa (controfase). Quando lo stadio di ingresso dell'ampli farà la differenza tra le due fasi si avrà quindi un segnale di 1 - (-1) = 1 + 1 = 2 V.

Ma dov'è il vantaggio? Proseguendo con l'esempio, supponiamo un cavo di collegamento abbastanza lungo che viene disturbato da un impulso statico, il quale si sovrappone al segnale utile, e che l'entità di questo disturbo sia di 0.5 V. L'interferenza agirà ovviamente allo stesso modo sia sul filo della fase positiva che su quello della fase negativa. Quindi quando l'ampli eseguirà la differenza tra le due fasi, per il disturbo avremo: 0.5 - (0.5) = 0 V. Ovvero, grazie all'operazione di differenza, il disturbo verrà annullato.

Nella teoria questo ha del portentoso, ma nella realtà le cose vanno diversamente, perchè l'annullamento non sarà mai totale. Diciamo che si ottiene una buona attenuazione dei disturbi statici e dei ronzii, la cui entità è fortemente influenzata dall'equivalenza elettrica delle due fasi. In sostanza, l'amplificatore deve avere le due fasi di ingresso perfettamente uguali, ovvero perfettamente bilanciate, cosa che è piuttosto difficile da ottenere (ed è costosa).

Senza entrare nei dettagli di questo argomento abbastanza complesso, si può dire che un altro vantaggio delle linee bilanciate è quello di rendere molto meno intrusivi i ground loop, che in certe situazioni sono inevitabili. Invece per i disturbi a radiofrequenza (stazioni radio vicine, lampade regolate elettronicamente, switching, etc.) il bilanciato può fare ben poco, in quanto il disturbo è la conseguenza della demodulazione del segnale ad alta frequenza, demodulazione che non sarà mai esattamente uguale per le due fasi e soprattutto dipende in larga parte da come è fatto lo stadio di ingresso dell'ampli.

Se scoprire che il collegamento in bilanciato non è miracoloso vi ha sorpreso, allora dovete sapere che peggiora pure il rapporto S/N. Per vari motivi che non sto qui a spiegare, uno stadio di ingresso bilanciato genera di gran lunga più rumore dello stesso stadio in single-ended.

Il termine tecnico che rappresenta la capacità di un amplificatore di annullare i disturbi della linea bilanciata si chiama CMRR ovvero Common Mode Rejection Ratio, rapporto di reiezione di modo comune. E' uno dei parametri riportati nel datasheet di un opamp, nelle condizioni di lavoro ideali.

Ricapitolando, è chiaro che i collegamenti bilanciati sono obbligatori in ambito professionale, dove le lunghezze dei cavi e il numero degli apparati rendono inevitabili i ground loop. In ambito casalingo, dove i collegamenti sono al massimo di 2 metri, è sempre preferibile il normale cavetto RCA.

Nonostante ciò, per l'Incipit ho previsto l'ingresso bilanciato, e questo non perchè tale tipo di ingresso sia superiore come qualità audio, ma solo perchè permette di sfruttare meglio l'architettura dell'amplificatore che è intrinsecamente bilanciata. Naturalmente, sarà presente anche un normale ingresso RCA.

E quindi il volume digitale? Non abbiate fretta, ora ci arriviamo.

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2/6/2023, 12:11
Nello schema semplificato dell'Incipit che vedete sopra ho omesso un componente fondamentale che è il controllo di volume. Tale controllo di solito si realizza con un potenziometro, ovvero con un partitore variabile di resistenze.

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Nell'immagine qui sopra ho riportato l'ingresso di un canale dell'ampli. Si vede il connettore di ingresso XLR a 3 poli con i pin 2 e 3 che corrispondono rispettivamente alla fase HOT (positiva) e COLD (controfase, o negativa). Il pin 1 corrisponde al ground, ovvero è il riferimento di massa che è sempre necessario, e che normalmente è collegato alla massa di segnale dell'ampli e alla calza schermante del cavetto usato per il collegamento.

Come si vede, il segnale entra dall'XLR e va agli ingressi di due potenziometri che servono a regolare il volume. La cosa importante qui da notare è che per un solo canale è necessario un potenziometro a due sezioni, ovvero un potenziometro stereo. Nello schema è indicato il classico RK27 della Alps.

E' chiaro che avendo per un singolo canale due segnali da regolare invece di uno, è necessario raddoppiare le sezioni del potenziometro di volume. Per un amplificatore stereo quindi è necessario un potenziometro a 4 sezioni. A meno di non accettare il compromesso di due potenziometri stereo separati, uno per canale, che però dal punto di vista dell'utilizzatore è una soluzione particolarmente scomoda.

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Qui sopra si vede un RK27 a 4 sezioni usato nel mio unico ampli "bilanciato" costruito più di dieci anni fa. Il concetto su cui si basava quell'ampli era quello di mantenere, per tutto il percorso, dall'ingresso fino alla cuffia, il segnale con le due fasi separate: quindi 4 amplificatori invece di 2, raddoppio di tutta la componentistica, masse separate per i due canali. Le conseguenze di questo tipo di approccio però sono devastanti. Si devono affrontare problematiche che negli ampli "normali" non esistono, e che spesso non sono risolvibili. Ad esempio, la gestione delle masse è molto critica, e i ground loop possono diventare un incubo infinito.

La gestione corretta di un segnale bilanciato NON è quella di mantenere "tutto bilanciato dall'inizio alla fine", come si legge spesso sui forum delle cuffie. L'amore incondizionato per tutto ciò che è "bilanciato" è la conseguenza di un tecnicismo derivato dall'ignoranza della maggior parte dei frequentatori dei forum, che non conoscono bene l'elettronica.

Normalmente, la gestione di una linea bilanciata avviene soltanto nello stadio di ingresso dell'amplificatore, e ben prima del potenziometro di volume. Ovvero, la prima cosa che si fa è convertire il segnale bilanciato e farlo tornare in single ended, in modo da operare quella operazione differenziale (vedi i post precedenti) che è necessaria per ottenere la magia della riduzione dei disturbi sulla linea. Altrimenti, l'uso di una linea bilanciata è del tutto inutile. Anzi, è persino controproducente.

Quindi, quando leggete sui forum e sui siti dei costruttori di ampli "bilanciati dall'inizio alla fine", sappiate che si tratta di una scelta tecnica errata.

Se l'obiettivo è quello di pilotare le cuffie "in bilanciato", ovvero a ponte, qualunque sia il motivo per cui lo si vuole fare, la gestione corretta del segnale è la seguente:

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Le due fasi provenienti dall'XLR vengono subito sommate per l'immunità ai disturbi, e quindi il segnale prosegue come fase unica (ovvero sbilanciato) per tutto il percorso rimanente (volume, stadio di gain, etc.) fino ad arrivare al finale, e soltanto alla fine, se si vuole pilotare qualcosa a ponte, si crea il segnale in controfase con cui pilotare un finale aggiuntivo.

E' chiaro che con questo tipo di gestione è sufficiente un normale potenziometro stereo, e infatti negli ampli professionali e quelli ben congegnati che devono gestire ingressi XLR, non troverete mai potenziometri a 4 sezioni, che sono costosi e spesso non precisi.

L'Incipit però è una eccezione e fa parte di quella categoria di ampli "dall'inizio alla fine". I motivi di questa scelta li vediamo nel prossimo post.

Ma il volume digitale? Quasi ci siamo.

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2/6/2023, 13:54
Perchè l'Incipit è tutto "bilanciato dall'inizio alla fine"? Perchè è composto da un unico stadio, il quale ha come componenti attivi due super-triodi che fanno da differenziale.

Entrambi i triodi sono coadiuvati da un jfet, di cui si sfrutta la trasconduttanza per aumentare il gain dell'intero stadio, da qui il termine di super-triodo.

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Il jfet è il componente a stato solido ideale per accoppiarsi a un triodo, perchè le sue caratteristiche sono simili. Ad esempio, un jfet è nello stato ON, cioè conduce corrente, quando il suo gate è allo stesso potenziale del source, e per portarlo in interdizione (cioè per interrompere la corrente) il gate deve superare di una certa soglia un potenziale negativo rispetto al source. Esattamente come in un triodo. Sostituire il termine gate con griglia e il termine source con catodo.

Non solo, ma il gate di un jfet replica quasi esattamente la griglia anche per quanto riguarda la sua impedenza, in quanto è elettricamente isolato e quindi ad altissima impedenza proprio come la griglia.

La presenza del jfet quindi è solo per aumentare il gain dello stadio che, grossolanamente, sarà dato dal prodotto dei gain dei singoli componenti. Nella realtà le cose sono più complicate di così, ma il concetto fondamentale è che per avere uno stadio con buone caratteristiche è necessario avere del gain aggiuntivo in modo da poter applicare una buona dose di controreazione. E il triodo da solo non sarebbe sufficiente.

La semplicità circuitale dell'Incipit è stupefacente al cospetto delle prestazioni che riesce ad ottenere. Parliamo di avere circa 2 W ai capi della cuffia con una distorsione quasi inesistente. E proprio per mantenere la semplicità, il concetto di "bilanciato dall'inizio alla fine" va visto quasi come un obbligo. Per questo motivo è necessario un potenziometro a 4 sezioni. Ed è questo il motivo per cui il primo prototipo dell'Incipit funziona con un normale ingresso RCA, ovvero sfruttando solo l'ingresso positivo (IN+) dell'amplificatore, e usa un normale RK27 stereo. Non avendo io intenzione di acquistare un 4 sezioni, ho rinunciato allo swing massimo ottenibile facendo un prototipo "castrato", e nonostante ciò il prototipo pilota alla grande la HE1000 e quasi pure la HE6.

Ma perchè non voglio usare un potenziometro a 4 sezioni? Perchè ho già sperimentato in passato, con il mio primo ampli "bilanciato", quanto sono rognosi gli RK27 a 4 sezioni. Sono rognosi a trovarli del valore giusto che serve, sono rognosi nello slalom per non incappare nei fake cinesi, sono rognosi perchè, soprattutto, non hanno mai le 4 sezioni perfettamente allineate, con la conseguenza di ottenere sbilanciamenti di volume tra i due canali L e R alle posizioni iniziali della manopola. Infatti, in passato mi capitò di sostituire diversi potenziometri proprio per questo motivo.

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Immaginate di dover dissaldare un coso simile con 12 piedini, e non avere comunque la certezza di ottenere un buon risultato.

Per tutto questo, era necessario trovare il modo di rimpiazzare il potenziometro meccanico per qualcosa di più preciso e moderno.

Visto che ci siamo arrivati? Ora parleremo di quale soluzione ho adottato per il controllo di volume.

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10/6/2023, 14:32
Per il controllo di volume, volendo rinunciare a un normale potenziometro, le soluzioni possibili sono innumerevoli: si parte dal classico circuito integrato come il PGA2311 della Texas Instruments, alle reti R2R con commutazione a rele'. L'unica cosa in comune tra queste soluzioni alternative è che si passa ad una regolazione a step, ovvero si abbandona la variazione continua consentita dal potenziometro per una variazione a gradini.

Il fatto di avere una regolazione a scatti comporta una prima domanda piuttosto banale: quanti step sono necessari per un controllo di volume decente? La risposta a questa domanda ne richiede un'altra: di quanto vogliamo avvicinarci al feeling consentito da un comune potenziometro?

Da un punto di vista tecnico, la variazione deve essere di tipo logaritmico, come lo è quella di un RK27 con curva di tipo 15A.

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Come si vede dal grafico che ho preso dal datasheet dell'RK27, fino al 65% della rotazione (in senso orario) della manopola, la variazione del segnale in uscita dal potenziometro (sul suo cursore) è molto lenta, per poi aumentare molto più velocemente. La curva è composta in pratica da tre tratti con inclinazione diversa: il primo tratto riguarda la variazione fino al 25% della rotazione, che è il più lento, il secondo la variazione tra il 25 e il 65% in cui la curva è leggermente più inclinata, e infine il tratto rimanente dal 65% in poi con una variazione decisamente più veloce.

La curva divisa in tre tratti è l'approssimazione di una vera curva logaritmica, che è impossibile (o molto costoso) da realizzare con un semplice potenziometro.

Nel grafico sotto si vede la vera curva (Log audio) necessaria, e la sua approssimazione (curva blu).

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Nell'approccio di un controllo di volume a discreti, che siano resistenze + rele' o altro, l'approssimazione è obbligatoria perchè è necessario mantenere la complessità e i costi entro limiti ragionevoli.

Una delle caratteristiche più importanti di un controllo di volume è il valore di attenuazione massima che si riesce ad ottenere portando la manopola a zero. Idealmente, in questa posizione un potenziometro dovrebbe avere una attenuazione infinita. Nella realtà però osserviamo che un minimo di segnale passa comunque. Nel datasheet dell'RK27 ad esempio, per il modello da 50 kOhm, è riportato un dato di attenuazione massima di -90 dB.

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Si tratta di un'attenuazione sufficientemente alta da poter dire che probabilmente nulla sarà udibile con la manopola del volume a zero.

Supponendo di voler sostituire un RK27 da 50 kOhm da una rete di resistenze, e di mantenere la massima attenuazione di -90 dB, si possono ipotizzare 90 step, ciascuno con la variazione di 1 dB. Il che vorrebbe dire un commutatore meccanico da 90 posizioni e altrettante resistenze (il doppio in realtà, visto che abbiamo due canali).

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Questa soluzione in pratica approssima un potenziometro reale, si ha un solo contatto attraversato dal segnale, e il comportamente elettrico è equivalente a quello di un RK27. Tale soluzione però sarebbe estremamente costosa, perchè prevede un commutatore meccanico da ben 90 posizioni (a due sezioni per una soluzione stereo), di qualità eccelsa con contatti particolarmente resistenti all'ossidazione e all'usura da strisciamento. E a prescindere dalla qualità del commutatore, non garantirebbe la completa assenza di click o "pop" durante la commutazione.

Già da queste prime considerazioni abbiamo capito che sostituire un RK27 non è poi così facile. Bisogna scendere a dei compromessi.

Il primo compromesso lo si può fare sull'attenuazione massima. In effetti i -90 dB di attenuazione dell'RK27 possono essere inutili nel contesto di un normale amplificatore, in cui il muting perfetto non è necessario (diverso è il caso di una consolle di mixing ad esempio). Per un buon controllo di volume 60 dB di attenuazione (più un eventale posizione di muting) possono essere sufficienti. Quindi il nostro commutatore meccanico può scendere da 90 a 60 posizioni. Ma c'è una soluzione più efficace: una commutazione di tipo R-2R.

Nella soluzione R-2R si sfrutta lo stesso principio dei DAC, che ad un particolare valore numerico espresso in bit (ovvero in binario) corrisponde un valore di tensione ottenuto per mezzo di una rete di resistenze.

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Nel caso di un attenuatore, il principio è lo stesso ma all'inverso: l'attenuazione è espressa in binario dai 6 scambi (vedi immagine sopra, per un esempio a 6 bit) e il segnale presente all'ingresso sarà attenuato di conseguenza. Con 6 bit dell'esempio abbiamo 26 = 64 step di variazione, quindi un po' meglio di quanto ci siamo prefissati. Un attenuatore siffatto presenta 64 posizioni per un'attenuazione massima di -62 dB a passi di circa 1 dB. Per realizzarlo sono sufficienti 6 rele' a doppio scambio per una soluzione stereo (DPDT) e 30 resistenze. Non male, come semplificazione.

Di seguito, analizziamo i vantaggi e le controindicazioni di tale soluzione.

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14/6/2023, 21:49
Il difetto maggiore di una soluzione a rele' è che si tratta di una soluzione elettromeccanica. Un rele' infatti non è altro che un contatto (o deviatore) meccanico azionato dal campo elettromagnetico di una bobina. Per la funzione critica di controllo del volume è necessario che i rele' siano affidabili e precisi. Persino il tempo di intervento e rilascio è importante, in quanto tutti i contatti devono agire nello stesso momento al cambio del valore binario, ovvero del volume. Un solo rele' fuori specifica è sufficiente a generare pop e click non desiderati sul segnale audio, a prescindere dalla strategia adottata via software.

Ma a parte i click che possono sentirsi sovrapposti al segnale durante il cambio di volume, ci saranno inesorabilmente i click meccanici, ovvero il rumore stesso generato dai rele' che si trasmette al circuito stampato e allo chassis, rumore contro il quale è quasi impossibile fare qualcosa e che per alcuni è piuttosto fastidioso.

In definitiva, la soluzione a rele' è certamente affascinante ed è considerata molto "hi-end", ma in realtà nasce dal disperato tentativo di fare a meno di dispositivi al silicio per la commutazione, visti con sospetto dalla comunità audiofila, ma anche perchè effettivamente ad oggi non esiste un interruttore a stato solido che sia davvero lineare. Se si potessero sostituire i rele' con dei mosfet, ad esempio, si avrebbe il controllo di volume digitale perfetto, benchè solo a step.

Perchè intendiamoci, il comune RK27 è difficile da battere come dispositivo: è affidabile, poco costoso, senza effetti collaterali evidenti, ed esiste pure in versione motorizzata e quindi remotizzabile. Chiunque parli male dell'RK27 solo per venderti un controllo digitale a rele', è sicuramente in malafede o non conosce quel potenziometro. Molto meglio quel potenziometro che la maggior parte dei controlli digitali fatti con i piedi che troviamo su apparecchi anche molto costosi.

Se proprio si vuole sostituire un RK27, si deve fare in modo che, qualsiasi cosa lo sostituisca, sia all'altezza della situazione, e non solo un modo per fare teatro a spese del cliente.

Un altro problema della soluzione a rele' è l'ingombro. In un "full balanced", ovvero un ampli con ingressi bilanciati "dall'inizio alla fine" il numero di rele' necessari raddoppia. Da 6 rele' per un controllo a 6 bit (64 step) si passa a ben 12 rele'.

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Qui sopra vedete la soluzione venduta da un noto marchio che molti anni fa iniziò a mettere la valvole in tutto ciò che si può accendere ed emette suono, in maniera piuttosto indiscriminata, cosa che gli valse una buona notorietà. Ciò non toglie che in questo caso, considerando tutto l'insieme, scheda principale, alimentazione, display, dissipatori, la sensazione è quella di un dispiegamento di forze eccessivo e forse inquietante. La domanda è: tutta quella roba solo per poter alzare e abbassare il volume? E' una domanda provocatoria, ovviamente: lo so benissimo che quel ben di dio permette anche la commutazione degli ingressi.

L'occupazione di spazio sulla board da parte dei rele' non è un dato da sottovalutare, perchè di solito in un amplificatore per cuffie non c'è molto spazio da dedicare a quello che normalmente si risolve con un potenziometro. Nel mio AF-N, ad esempio, non saprei dove mettere tutti quei rele' + l'elettronica necessaria a pilotarli, anche se fossero solo 6.

Quindi, non volendo cadere nel paradosso di sostituire un componente meccanico (il potenziometro) con altri componenti meccanici (i rele') con potenziali nuovi problemi, ho deciso di trovare una soluzione alternativa.

Ho deciso di sostituire i rele' con dei JFET.

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18/6/2023, 15:43
La decisione di usare jfet al posto di contatti meccanici non è una novità, ovviamente. Dovete sapere che la maggior parte dei lettori CD degli anni '80 e '90 del secolo scorso, usava un jfet come interruttore nello stadio di filtro per applicare la de-enfasi su quei CD che erano registrati con tale modalità. In pratica su alcuni CD in fase di registrazione veniva applicata una esaltazione delle alte frequenze che poi il lettore doveva compensare in fase di riproduzione.

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Qui sopra si vede lo stadio di conversione I/V del lettore CD40 della Marantz. Veniva usato un jfet BSR56 il quale nello stato ON includeva nel loop di feedback dell'LM833 la cella composta da una resistenza e due condensatori come rete di de-enfasi. Nel datasheet del BSR56 si legge che il gate deve vedere una tensione negativa di -10V rispetto al source per portare il dispositivo nello stato OFF, e che nello stato ON la resistenza tra drain e source è al massimo di 25 Ohm.

Può sembrare scarso un interruttore che da chiuso fa vedere una resistenza così alta, ma in quel circuito aveva poca importanza in quanto l'impedenza della rete da commutare era ben più alta, per cui 25 Ohm al confronto erano trascurabili. Naturalmente al posto del jfet avrebbero potuto usare un rele', ma ciò avrebbe fatto aumentare i costi senza alcun vantaggio evidente. La stessa soluzione la ritroviamo anche nel ben più costoso CD80, e nel 99% dei lettori CD dell'epoca.

Al posto del BSR56 si può usare un altro tipo di jfet che garantisce una resistenza in stato ON molto più bassa. Ad esempio, il J108 è dichiarato per una massima rDS(on) di 8 Ohm, ma il valore tipico per gli esemplari che ho misurato è di circa 3 Ohm. Nell'esempio già riportato sopra, per una rete R2R a 64 step, la resistenza di valore più piccolo da commutare è da 560 Ohm, e quindi anche un jfet con il massimo valore di rDS(on)  introduce un errore trascurabile.

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Naturalmente, per ogni scambio è necessario usare 2 jfet, quindi il totale sarà di 12 jfet per canale.

Quindi 24 jfet al posto di 6 relè per una soluzione stereo. Quali sono i vantaggi? Alcuni li abbiamo già elencati: nessun rumore meccanico di commutazione, nessun contatto soggetto ad usura, maggiore affidabilità, costo notevolmente inferiore visto che un jfet costa tipicamente 40 centesimi, spazio occupato sulla board molto inferiore (considerando la disponibilità del package smd SOT23-3 per questo jfet), assorbimento di corrente minimo rispetto alle 12 bobine dei relè.

Mentre stavo già sperimentando con una pcb preliminare di test e il mio AF-N che faceva da cavia, mi sono chiesto: ma tutto quello che sto facendo io, magari l'ha già fatto qualcun altro e ci ha pure fatto un circuito integrato? Ed è a quel punto, dopo mesi di dubbi e di sperimentazione, che il piccolo sentiero che avevo tracciato si è trasformato in una autostrada. Ne parleremo nel prossimo post.

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24/6/2023, 12:26
Ho cominciato quindi a frugare nel catalogo Mouser per vedere cosa c'era sotto la voce "potenziometri digitali" e ho scoperto che la maggior parte sono potenziometri lineari, usati nell'industria laddove sia necessario sostituire i normali trimmer per automatizzare delle regolazioni. In pratica questi chip sono dei veri trimmer ma comandati in digitale, mantengono il valore resistivo impostato anche in assenza di alimentazione, e facilitano non poco eventuali operazioni di taratura sui circuiti in quanto tali operazioni possono essere automatizzate. Oppure possono entrare a far parte di un servocontrollo. Insomma, niente cacciavite, ma tutto regolato via software.

Ma la cosa più sorprendente è stata scoprire le categorie (piuttosto sparse) in cui si trovano questi potenziometri. C'è la categoria "Circuiti integrati potenziometri digitali" che poi sarebbe quella più azzeccata, dove troviamo quasi esclusivamente trimmer lineari, che hanno poca rilevanza nell'audio. Tali trimmer non sono pensati per segnali audio, e quindi non tengono conto di tanti parametri che nella maggior parte dei casi non sono significativi, come rapporto S/N, linearità, banda passante. Altro problema di questi potenziometri è che non accettano in input tensioni superiori a quella di alimentazione e inferiori al GND. Ciò significa ad esempio che per il chip DS1809 della Maxim (ora Analog Devices) che è alimentato a 5V,  il massimo swing consentito è di +/- 2.5 Vp, insufficiente come controllo all'ingresso di un ampli, e che si deve usare almeno un condensatore sul segnale perchè in input al potenziometro dovremmo aggiungere una tensione di bias corrispondente a metà alimentazione.

Poi ho trovato la categoria "Amplificatori audio", che a sua volta contiene la tipologia "Volume controls", e qui ci sono un po' di potenziometri "buoni", ovvero a variazione logaritmica e pensati specificatamente per l'audio. Il motivo per cui stanno sotto "Amplificatori audio" è che in questi chip non solo c'è il potenziometro vero e proprio, ma anche qualche operazionale. Un esempio è lo NJW1159 della giapponese Nisshimbo, un potenziometro a 96 step + MUTE, stereo.

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Come si vede dall'immagine sopra, il segnale in input (L o R) va dentro il potenziometro e una volta attenuato entra in un operazionale che fa da buffer (ovvero a guadagno unitario). Il motivo per cui è stato inserito l'opamp è che il potenziometro non deve essere assolutamente caricato dallo stadio che segue, ovvero deve vedere un'impedenza più alta possibile. L'opamp integrato ha lo stadio di input a jfet e quindi è perfetto per questo scopo. Il chip però prevede anche due uscite supplementari, che escono direttamente dal potenziometro in modo da poter bypassare l'opamp interno e all'occorrenza gestire il segnale con un opamp esterno. Ed è questo il motivo per cui ho iniziato a lavorare con questo circuito integrato.

Fin dall'inizio mi sono riproposto che a prescindere dalla soluzione adottata, il segnale non sarebbe dovuto passare attraverso operazionali o circuiti aggiuntivi, soprattutto se integrati. Questo chip costa poco, ha caratteristiche (almeno sulla carta) molto buone, e soprattutto permette di bypassare gli opamp interni: quindi OK, ho detto, proviamolo.

L'unico difetto del chip è che attualmente si trova solo in package SSOP-16, che è davvero un incubo da saldare. A seguire, parleremo dei risultati ottenuti con questo chip.

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25/6/2023, 11:29
Qui sotto vedete la prima schedina che ho realizzato per usare il chip NJW1159.

 Digital volume control 52999710241_84b199fba8_w_d

La schedina ha le stesse connessioni di un normale RK27 stereo, in pratica ha la stessa impronta. In questo modo volendo si potrebbe mettere una schedina (che ho chiamato JPOT) direttamente al posto di un RK27.

 Digital volume control 52999867079_aea1c685eb_w_d

 Digital volume control 52999118547_dfb46a586e_w_d

Dal momento che il chip è controllato tramite il protocollo SPI, è necessaria un'ulteriore scheda che serve a gestire un encoder (la nostra manopola del volume) e che invii al potenziometro il livello di attenuazione impostato. Qui sotto vedete il mio AF-N al quale ho tolto l'RK27 per poter testare il JPOT. Inoltre, sempre dall'AF-N prendo l'alimentazione duale di 24V per alimentare la scheda di controllo.

 Digital volume control 53000092815_8d12804958_w_d

La scheda di controllo ospita un microcontroller (lo stesso usato per la scheda display degli HDAC), un encoder, dei led per l'indicazione del volume, e pochi altri componenti. Il dettaglio di questa scheda lo vedremo in seguito. Vi basti sapere per ora che la sua collocazione è ovviamente dietro il pannello frontale dell'apparecchio, dal momento che sostituisce la manopola del volume. Inoltre, è già predisposta per controllare anche l'ON/OFF dell'apparato, eventuale gain, ingressi, e ovviamente un telecomando a infrarossi. Questa scheda consente di centralizzare tutte le funzioni dell'apparecchio, che sia un ampli (che è l'apparato più indicato), o un dac, o un preamplificatore, o un Incipit...

Ma come si è comportato il JPOT? A breve nel prossimo post.

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4/7/2023, 22:05
Qui sotto vedete il disegno della prima versione del jpot che ho realizzato. Con il cerchio rosso ho evidenziato i 3 segnali digitali che provengono dal connettore CON1, che servono a comandare il chip. Tali segnali seguono il protocollo SPI (o 3-wire, 3 fili) che in pratica servono a comunicare al chip il livello di attenuazione desiderato.

Il chip è abbastanza piccolo da stare tra le due sezioni dell'impronta di un RK27 stereo. Il segnale audio OUTR corrisponde al cursore del potenziometro del canale destro, mentre OUTL è il cursore del canale sinistro. Tali segnali rappresentano l'uscita del potenziometro, mentre INR e INL sono l'ingresso, ovvero quelli che poi saranno collegati alle prese di ingresso (tramite il circuito stampato su cui si inserisce il JPOT).

 Digital volume control 53022210887_b03477bfc4_w_d

Il test della schedina è stato effettuato sul mio AF-N dal quale ho rimosso il potenziometro RK27, sostituendolo quindi con il JPOT. L'esito del test è stato abbastanza deludente. Si notavano infatti due problemi principali:

1) L'attenuazione massima raggiunta è stata ben lungi dai -110 dB in posizione MUTE dichiarati nel datasheet, ma il segnale audio era ben udibile anche col volume al minimo;

2) Rumore digitale durante le variazioni di volume, ovvero dei "click" piuttosto fastidiosi sovrapposti all'audio.

Inoltre si riscontrava uno sbilanciamento tra i canali piuttosto evidente sui primi step ad attenuazione più alta. Dulcis in fundo, una diafonia piuttosto imbarazzante.

Tutti questi problemi sono stati rilevati solamente con l'ascolto, in quanto erano talmente evidenti che sarebbe stato del tutto inutile misurarli. Preso dallo sconforto, ho staccato il JPOT dall'AF-N mantenendo solo l'alimentazione, e quindi ho misurato il valore di resistenza tra il cursore e il terminale di massa di una singola sezione alle varie posizioni di volume, riscontrando che tale resistenza non variava quasi per niente rispetto ad un classico RK27 in cui tale valore va da zero (volume minimo) al valore nominale del potenziometro. Ad esempio, un RK27 da 50kOhm ha il suo cursore che presenta una resistenza del cursore che varia da 0 a 50kOhm a seconda della posizione. In questo chip invece tale resistenza è quasi costante, a prescindere dalla posizione del volume e si attesta tra i 40 e i 50kOhm.

Ciò comporta tutta una serie di conseguenze, tra le quali vi è quella di una certa suscettibilità del chip ai campi elettromagnetici esterni, e quindi una certa sensibilità alle capacità parassite. Ciò vuol dire che il layout del circuito stampato della schedina è di vitale importanza: far passare delle piste di segnale sotto al chip poteva essere deleterio e peggiorare le caratteristiche del potenziometro, sia a riguardo dell'attenuazione che della separazione stereo.

Ho quindi ripreso in mano il disegno del JPOT e ho modificato i routing dei vari segnali evitando accuratamente di far passare quelli audio sotto al chip.

 Digital volume control 53023178350_2490029f08_w_d

E come si vede nell'immagine sopra, ora sotto al chip ci passano le 3 linee digitali di comando, mentre l'audio è stato dirottato all'esterno del chip. Visto che c'ero, ho aggiunto dei jumper per avere la possibilità di poter scegliere se usare le uscite dirette del potenziometro o quelle bufferizzate, ovvero quelle che passano dall'opamp interno. Ho aggiunto inoltre la possibilità di mettere 3 resistenze in serie ai segnali digitali, con la speranza di mitigare il problema dei "click".

Il risultato è stato un JPOT leggermente migliore, ma con il problema dei click peggiorato. Indovinate perchè... perchè ora ovviamente questi segnali passavano sotto al chip generando così un'interferenza più elevata.

La conclusione a cui sono arrivato è stata che tale chip è quasi inusabile. Non solo è difficilissimo da saldare, ma probabilmente occorre qualche segreto giapponese o rito magico per tirar giù un layout che sia gradito al chip. Oppure è possibile che con un package così piccolo i problemi si moltiplicano, e che se fosse stato disponibile uno dei due package alternativi sarebbe andato bene. Chi può dirlo?

Nel prossimo post vedremo quale chip ha preso il posto dell'NJW1159.

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6/7/2023, 12:43
Negli stessi giorni in cui cercavo una soluzione integrata e ho trovato il chip NJW1159, mentre passavo al vaglio tutti i chip di questo tipo presenti sui cataloghi online (Mouser, Digikey, etc.) mi sono imbattutto su un altro chip interessante, il DS1882 della Dallas Semiconductor, ovvero Maxim, ora diventata Analog Devices.

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Innanzitutto questo chip è ancora in produzione e si trova anche nel package SO-16 che è molto facile da saldare. Rispetto al chip precedente ha "soltanto" 63 step a passi di 1 dB, più il MUTE. Quindi in totale 64 step. Internamente non ha operazionali, ma soltanto due potenziometri e ovviamente l'elettronica necessaria a comandarli. Si alimenta con una tensione duale di 7V per la parte analogica, e una da 5V per la parte digitale. Questa cosa di avere due linee di alimentazione separate tra digitale e analogico è un vantaggio non da poco in quanto mitiga la possibilità che gli impulsi digitali di comando possano interferire con l'analogico.

Il chip si pilota con un protocollo diverso rispetto al chip precedente, il comune I2C. Ciò ovviamente mi ha obbligato a riscrivere il codice che gira sul microcontroller prima di poterlo utilizzare e fare dei test.

 Digital volume control 53026907915_48efd746c0_o_d

Un'altra caratteristica fondamentale del DS1882 è il Zero-Crossing Detector. In pratica, l'elettronica del chip quando riceve il comando di variare l'attenuazione (ovvero quando l'utente gira la manopola del volume) fa in modo di applicare la variazione solo quando il segnale audio passa per lo zero. In tal modo si evita del tutto la possibilità di generare dei "click" durante la variazione di volume. Quelli che affliggevano il chip NJW1159.

Inoltre, l'impostazione del volume viene memorizzata internamente al chip e mantenuta anche in assenza di alimentazione. Mentre l'NJW1159 era un dispositivo di sola scrittura (ovvero si poteva solo inviare al chip il livello di volume o altri comandi) questo chip si può anche interrogare tramite un apposito comando sul bus I2C, e farsi dire qual è il livello di attenuazione memorizzato. In pratica, quando si accende l'apparecchio il software del microcontroller come prima cosa interroga il DS1882 e gli chiede a che volume è rimasto impostato l'ultima volta, in modo da poter aggiornare coerentemente eventuali indicazioni luminose (display o altro) del volume. Essenzialmente, è come succede con un normale RK27, che all'accensione ritrovi la manopola come l'avevi lasciata la volta precedente.

Questa cosa è molto utile, perchè evita di gestire la memorizzazione lato controller, che sarebbe più complicata in quanto richiederebbe una batteria tampone oppure l'uso di una eprom aggiuntiva. Comunque, questa funzione è disattivabile se non la si ritiene necessaria.

Ed ora passiamo all'implementazione sul JPOT.

 Digital volume control 53026995168_7fa5aa58ca_w_d

Come si vede, l'impronta è rimasta la stessa in quanto per un pelo anche questo chip, nonostante il package più grande, riesce a stare tra le due sezioni di un RK27. La disposizione dei pin però è totalmente diversa, è molto più logica rispetto al chip precedente. Così logica che i pin di entrata e uscita dei due canali sembrano essere posizionati apposta per il mio JPOT.

Questa che vedete sopra è già una V2 in quanto la prima versione, quella che ho usato per i test, poteva essere migliorata ulteriormente, e inoltre ho aggiunto un jumper che permette di usare due JPOT per gli ampli con ingressi bilanciati (Incipit).

E allora come è andata? Ne parlo nel prossimo post.

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10/7/2023, 18:08
Per le caratteristiche riportate nel datasheet, le aspettative sul DS1882 erano piuttosto alte. L'unica incertezza era dettata dalla mia modalità di utilizzo: il chip è su una schedina secondaria inserita sulla mainboard e collegata con un flat alla scheda di controllo. Un'implementazione particolare, con imprevedibili effetti collaterali. Di solito questi chip sono saldati direttamente sulla board principale, e tutti i segnali condividono lo stesso piano di massa, compresi quelli digitali. Nel nostro caso invece i segnali digitali partono da un'altra scheda, e tramite un flat lungo anche una ventina di centimetri raggiungono il chip, e questi segnali possono fare affidamento per il ritorno di massa soltanto all'area della pcb dove è innestato il JPOT. In sostanza, la scheda di controllo può portare al JPOT le alimentazioni e il bus I2C, ma NON la massa, altrimenti si formerebbe un enorme ground loop.

 Digital volume control 53035654677_9f468bc1f0_c_d

Come si vede nel disegno qui sopra, il collegamento di massa (di colore nero) tra le varie schede forma un grande anello (in inglese loop, da cui deriva il termine ground loop). Tale anello va evitato assolutamente perchè è una potenziale fonte di disturbi che sarebbero sicuramente udibili. Di solito tali disturbi si manifestano sotto forma di ronzii o rumori di altra natura (fischi, fruscii) sovrapposti all'audio.

Ovviamente tale problematica non esiste se il chip DS1882 è utilizzato nella maniera canonica, ovvero saldato direttamente sulla mainboard e pilotato da altri componenti sempre sulla mainboard che condividono lo stesso piano di massa.

Nella mia implementazione invece il pericolo esiste e quindi bisogna trovare una soluzione, e la soluzione è piuttosto semplice: interrompere l'anello ovvero eliminare un collegamento di massa superfluo, come si vede nell'immagine sotto.

 Digital volume control 53036627340_4c16d1d69b_c_d

Quindi il flat di collegamento porta le alimentazioni e i segnali digitali al JPOT, ma NON la massa, in quanto il riferimento di massa il JPOT se lo prende direttamente dalla mainboard attraverso il connettore che simula un potenziometro RK27. Era questa l'incertezza di cui ho accennato all'inizio, ovvero il fatto di implementare il chip in maniera non convenzionale, e soprattutto non documentata. Per cui, soltanto dopo i test sperimentali avrei avuto la certezza del buon funzionamento. La possibilità di un fallimento era tra le ipotesi contemplate.

Ma prima di mostrare i risultati dei test relativi al JPOT, vorrei spiegare perchè ho insistito con questa soluzione nonostante i rischi e forse una maggiore complessità. I motivi sono principalmente due: uno riguarda la flessibilità, ovvero la possibilità di usare questo controllo di volume su qualunque progetto, minimizzando l'occupazione di spazio e facilitando l'utilizzo rendendolo analogo a quello di un normale RK27; il secondo motivo invece è squisitamente tecnico. Nel caso di un RK27 reale ad esempio, si è costretti a mettere il potenziometro agganciato o comunque vicino al pannello frontale, per ovvi motivi, a meno di non usare una prolunga per l'alberino del potenziometro, che comunque aumenta le complicazioni a livello meccanico. Il JPOT invece può essere messo nel punto della mainboard dove è più conveniente elettricamente, magari vicino agli ingressi. Nell'AF-N ad esempio l'RK27 obbliga all'utilizzo di lunghe piste che viaggiano dal pannello frontale a quello posteriore per raggiungere le RCA di ingresso. Queste piste così lunghe sono potenzialmente delle antenne, in grado di captare disturbi di ogni tipo. Nel disegno della pcb dell'AF-N ho adottato varie contromisure per mitigare la cosa, ma ciò non toglie che sarebbe meglio eliminare il problema alla radice, e il JPOT consente proprio questo, ovvero ottimizzare il percorso del segnale audio senza dover ricorrere a stratagemmi meccanici.

Nel prossimo post vedremo i risultati del test.

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16/7/2023, 14:05
Per le misure dove era importante la purezza della sinusoide ho usato il Minirator MR-PRO, che produce segnali sinusoidali a bassissima distorsione.

 Digital volume control 53048742117_1540155f95_c_d

Questo è lo spettro di un tono a 1kHz a 3.47Vp (pari allo 0 dBR di un lettore CD o di un DAC) ripreso direttamente dall'uscita del Minirator. Come si vede, la distorsione totale della sinusoide generata è di -95.36 dBc. Come evidenziato dai cursori, la seconda armonica si attesta su un eccellente -97 dB.

 Digital volume control 53047638278_70cd9e8327_o_d

L'oscilloscopio usato per le misure è un Picoscope 4262 che può arrivare ad una risoluzione di 20 bit.

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Questo è l'AF-N usato come cavia, nel quale alternavo al comune RK27 il JPOT da testare.

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Ed ora veniamo ai risultati del test. Questa prima serie di misure è stata fatta direttamente sul cursore dei potenziometri (RK27 e JPOT) inseriti nel circuito dell'AF-N.

La prima cosa da verificare era la figura di rumore del DS1882, ovvero accertarsi che non introducesse del rumore aggiuntivo rispetto ad un normale RK27.

Fondo di rumore rilevato con RK27 a metà corsa, ingresso ampli cortocircuitato:
 Digital volume control 53036161340_311b3d48e9_o_d

Fondo di rumore rilevato con DS1882 (JPOT) a circa metà corsa, ingresso ampli cortocircuitato:
 Digital volume control 53036255068_033cc1c751_o_d

Come si può notare, in entrambi i casi il fondo di rumore non cambia. Considerata la risoluzione dell'analizzatore, possiamo stare tranquilli sul fatto che il JPOT non aggiunge rumore al segnale, almeno non di più di un comune RK27 da 50kOhm.

Un'altra cosa da verificare era che il DS1882 non limitasse troppo la banda passante rispetto ad un RK27. Il datasheet del chip dichiara una frequenza massima di ben 5 MHz. Questa misura è stata fatta con un altro analizzatore (TiePie HS3 da 100 MHz, usando il suo generatore di rumore bianco con banda di 2 MHz).

Nell'immagine qui sotto dello spettro, in verde è il rumore in uscita dall'RK27, il bianco quello del DS1882. Come si vede, i due spettri sono coincidenti fino ad almeno 250 kHz, dopodichè il DS1882 comincia a calare più velocemente dell'RK27. Il punto a -3 dB dell'RK27 è a circa 1.3 MHz, mentre quello del DS1882 è a circa 1 MHz.

Naturalmente questa misura è influenzata dall'insieme delle capacità parassite del componente (RK27 oppure DS1882) più le piste della pcb, dei connettori, etc. e quindi è rappresentativa dell'insieme potenziometro + AF-N così come è al momento. In ogni caso, la differenza di banda tra un RK27 e un JPOT è totalmente insignificante.

 Digital volume control 53035951929_bf57167127_o_d

Nei prossimi test verifichiamo un altro parametro fondamentale, la THD.

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29/7/2023, 12:16
Questo è lo spettro di un segnale sinusoidale generato dal Minirator PRO a 1kHz, di 3.4 Vp, rilevato direttamente sul cursore del potenziometro RK27 regolato a circa a ore 11.

Come vedete, la THD totale è di -98.71 dBc, mentre l'armonica più alta, che è la terza, è sui -101 dB. Sostanzialmente quello che stiamo vedendo è lo spettro del Minirator, il potenziometro aggiunge ben poco al segnale audio. Non solo, ma bisogna tener conto che il cursore dell'RK27 oltre ad essere collegato all'ingresso dell'analizzatore di spettro (ovvio) è pure collegato, tramite le piste dello stampato, al gate del JFET di ingresso dell'AF-N. Tale JFET ha una capacità parassita molto bassa, che però è modulata dal segnale audio e quindi introduce anch'essa un po' di distorsione. L'incidenza è minima, ma va comunque tenuta presente.

 Digital volume control 53062992496_839ab8e566_o_d

Qui sotto invece è riportato lo spettro nelle stesse identiche condizioni, ma con il JPOT al posto dell'RK27. Il JPOT era regolato per avere un livello di segnale sul cursore circa uguale a quello presente sul cursore dell'RK27 nella misura precedente, in modo da avere dati confrontabili.

 Digital volume control 53062992491_314e0f7ebe_o_d

Si vede come il JPOT aggiunga una seconda armonica che prima quasi non era rilevabile, mentre la terza rimane allo stesso livello di prima. La THD totale sale leggermente a -97.63 dBc, una differenza di circa 1 dB in più rispetto all'RK27. Possiamo dire quindi che almeno a 1 kHz non ci sono differenze significative passando dall'RK27 al JPOT.

Dal momento che la linearità è influenzata sostanzialmente dalle capacità parassite degli elementi attivi presenti nel DS1882 (ovvero dei mosfet che fanno da interruttori), ci si aspetta che aumentando la frequenza del segnale audio aumenti in proporzione anche la THD. Il problema di tali capacità parassite è che non sono costanti, ma variano al variare del livello del segnale audio. Con le impedenze in gioco, una variazione di capacità anche piccola vuol dire una modulazione che si sovrappone al segnale audio originale, e ciò si trasforma in distorsione.

Quindi ho rifatto lo stesso test, ma usando un segnale a 10 kHz. E questi sono i risultati:

RK27
 Digital volume control 53063480613_db1b390760_o_d

JPOT
 Digital volume control 53063480623_d4dbecbfd2_o_d

Lo spettro relativo al JPOT è la sovrapposizione con quello dell'RK27. Le righe colorate di rosso sono armoniche generate dal JPOT che eccedono quelle dell'RK27. Come era previsto, a 10 kHz il JPOT introduce più distorsione, ma come si vede dallo spettro in pratica è tutta distorsione di seconda armonica, la terza rimane quasi invariata (le righe rosse sopra i 40kHz vanno ignorate in quanto sono disturbi e non inficiano il risultato). L'aumento della seconda armonica però è consistente, stiamo tra i 15 e i 20 dB di aumento. Considerando la cosa da un punto di vista relativo al segnale, si tratta di una seconda armonica a -88.31 dB, che difficilmente può essere ritenuta così maligna, ma è una cosa da considerare in fase di ascolto, facendo particolare attenzione alla parte alta dello spettro sonoro, per capire se ciò può avere un impatto negativo dal punto di vista percettivo. Di ciò ne dubito, ma ne riparleremo quando affronterò le impressioni rilevate ascoltando in cuffia.

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29/7/2023, 12:51
A fronte dei risultati di THD pubblicati sopra, vorrei fare un paio di considerazioni. La prima è che queste misure sono state fatte sul circuito di un ampli che non è stato ottimizzato per il JPOT. Si presume che, sfruttando le potenzialità di tale potenziometro e quindi ottimizzando i percorsi di segnale (con la conseguente diminuzione delle capacità parassite delle piste del circuito e quindi del carico visto dal cursore del potenziometro, soprattutto ad alta frequenza) le prestazioni possano migliorare ulteriormente.

L'altra considerazione è che ancora non abbiamo affrontato l'altro "pezzo" di hardware che compone il JPOT, ovvero la scheda di controllo. Quella del controller è una parte che influisce direttamente sul "feeling" di utilizzo, e sulle possibili semplificazioni a livello circuitale. Ad esempio, la qualità dell'encoder utilizzato è fondamentale per avere un feeling decente durante la rotazione della manopola del volume. La sua precisione influsce direttamente sull'affidabilità del controllo, oltre a restituire una sensazione positiva durante l'utilizzo. L'abbandono dell'RK27 non deve avere conseguenze neanche da questo punto di vista.

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2/8/2023, 16:57
... seguo e... volevo fare i complimenti, a prescindere di come andrà a finire (ma non ho motivo di pensare a nulla se non a un successo), per la narrazione avvincente (non esagero)... Mario mi ha segnalato che c'era un argomento intrigante chiedendomi se lo avessi visto, no non ancora... quindi ho aperto e ho letto tutto di fila, ed è stata una bella lettura

credo i complimenti siano non solo meritati ma anche dovuti

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