Nel 1987, Daniel Schar, fonda Micromega, con un pregresso nel settore che costituisce più di un biglietto da visita, avendo ricoperto per diversi anni il ruolo di Capo progettista alla Mark Levinson.
Peraltro, l’approdo immediato del brand transalpino, vede il suo core business – piuttosto che nelle amplificazioni – nelle sorgenti digitali.
La prima articolazione di un’offerta nel digitale di Micromega ha luogo intorno al 1989 e vede un modello d’attacco – il Digit – un modello intermedio – l’Optic – ed un vertice costituito da una varia declinazione di un modello – il CDF1 – che accanto a due modelli integrati – l’Hi Tech ed il Pro – vede il CDF1 Digital come meccanica da abbinare ad un convertitore, il Duetto.
Mentre il CDF1 pone le basi dei futuri sviluppi delle strategie del marchio francese, ovvero prodotti esclusivi e costosi, sia il Digit (1.350.000 lire) che l’Optic (2.250.000 lire) avrebbero voluto rappresentare i prodotti più friendly da lanciare nel mercato italiano, per farsi conoscere. A questo scopo è stata scelta come base dei due modelli un modello medio-economico della Philips, il CD582; tuttavia, anche a causa della notevole differenza di prezzo tra prodotti base e prodotti derivati, non ritengo che quell’obiettivo sia stato raggiunto e, nel tempo, Micromega ha sempre tenuto abbastanza distinti i prodotti di fascia alta da quelli budget, peraltro differenziando e valorizzando quest’ultimi dal punto di vista estetico.
Ad essere sinceri, soprattutto per quanto riguarda il Digit, è difficile trovare delle differenze sostanziali rispetto al Philips CD582, se si esclude la presenza del convertitore TDA1541S1 nel primo; fatto senz’altro apprezzabile ma che, da solo, non ritengo possa trasformare un CDP in un campione.
Anche la presentazione dell’Optic è abbastanza sommessa, risultando esteticamente indistinguibile dal Digit, se si esclude la denominazione in rilievo, sopra il pulsante di accensione dei lettori; nonostante ciò, l’Optic ha goduto – al tempo – di una buona nomea nel settore, tant’è che, successivamente all’avvento del Bitstream, evolvé nell’OpticBS.
Come si sa, la carriera dell’audiofilo è costellata di acquisti frustrati e il transito su eBay di questo lettore mi ha visto – insieme a ben pochi utenti della nota piattaforma d’acquisto – offerente di ultima istanza ed aggiudicatario dell’Optic alla cifra di 201 euri, un prezzo onesto, considerando che mi avrebbe aspettato la completa sostituzione degli elettrolitici.
L’esame esterno del lettore rivela, al contempo, l’abarthizzazione del Philips CD582 e lo sciovinismo transalpino, sotto forma di trasformazione in lingua madre della denominazione delle funzioni logiche del lettore, telecomando – che risalta in tutta la sua povertà – compreso. Anche il retro è abbastanza povero, presentando oltre l’ingresso dell’alimentazione – tramite classico economico doppino Philips – le uscite analogiche e l’uscita digitale coassiale, cosa quest’ultima che induce perplessità. Si chiama Optic e non ha la relativa uscita digitale?
Già, si chiama Optic in quanto usa, tra sezione digitale e sezione analogica, un accoppiamento ottico ad alta velocità: la filosofia di fondo del progetto è la massima separazione tra le due sezioni. All'interno dell'apparecchio, pertanto, ci sono due trasformatori separati, uno per la sezione digitale (quello mutuato dal circuito del CD582) e uno per quella analogica (un pregevole toroidale della Holden & Fisher, inserito in corsa), così da evitare qualunque influenza reciproca dei segnali.
Tralasciando l’esame di tutto ciò che accomuna l’Optic al CD582 – non mi sembra di aver visto differenze nella selezione dei componenti nella scheda principale – e ricordando che il filtro digitale è l’immarcescibile SAA7220P/B e l’ottica una CDM4/19 in composito (a mio personale parere leggermente inferiore alla CDM4/11), è il caso di porre l’attenzione sulla scheda analogica. In quest’ultima sono impiegate sette differenti alimentazioni stabilizzate: tre per il convertitore TDA1541S1 (cd. Golden Crown), due per il canale destro e due per il canale sinistro. Lo stadio di uscita è in classe A e completamente privo di controreazione; una bassa impedenza (10 ohm), poi, consente un interfacciamento senza problemi. La conversione corrente/voltaggio è ottenuta per mezzo di operazionali di alta precisione i cui codici sono stati sapientemente abrasi; a valle c’è un filtro Bessel a tre poli, che s’incarica di sopprimere il rumore digitale. E' appena il caso di sottolineare che la scheda analogica è sempre sotto tensione, in quanto l'interruttore di accensione agisce solo sulla parte digitale: una scelta - riti audiofili a parte - che trovo discutibile.
Colgo l'occasione per allegare un'immagine riguardante i dati salienti delle risultanze tecniche, rinvenienti dalla prova su un vecchio numero di Suono.Da un sommario esame dei responsi tecnici, emerge il filtraggio blando delle spurie a favore di un'ineccepibile risposta in fase (punto fermo della tecnologia digitale Philips). Ottima la silenziosità del lettore in misura pesata, buona in lineare; bilanciamento e separazione tra i canali senza storia. Perfetta - come da tradizione Philips - la risposta in frequenza, trascurando la leggera esaltazione all'estremo alto della risposta con enfasi, dovuta ad una particolare implementazione di quest'ultima.
Ciò che occorre notare, invece, è la notevole linearità ai bassi livelli del lettore, sicuramente occasionata dall'utilizzo del convertitore Golden Crown.
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"Un uomo dovrebbe conoscere i propri limiti..."